Pulci di notte di Stefano Lorenzetto

Pulci di notte

di Stefano Lorenzetto

Incipit di un editoriale della filosofa Michela Marzano sulla Stampa: «Oggi, in Italia, una donna muore ammazzata ogni settanta ore». Vediamo. In Italia nel 2021 sono stati commessi 295 omicidi volontari. Lo ha detto il primo presidente della Cassazione, Pietro Curzio, nella sua relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2022: «Nel 1991 gli omicidi in Italia furono quasi 2.000. In seguito sono lentamente ma progressivamente diminuiti riducendosi a 359 nel 2018, 317 nel 2019, 287 nel 2020». Una donna uccisa ogni 70 ore significa che ne morirebbero circa 125 l’anno, ben meno della metà delle persone che complessivamente perdono la vita in modo violento. Invece, secondo l’Istat, «le donne vittime di omicidio volontario nell’anno 2020 in Italia sono state 116, lo 0,38 per 100.000 donne». Andrebbe semmai segnalato che la serie storica degli omicidi per genere mostra come siano soprattutto le uccisioni di uomini a essere calate in 26 anni (da 4 per 100.000 maschi nel 1992 a 0,7 nel 2018). Anche le donne vittime di omicidio sono in leggera flessione (da 0,6 a 0,4 per 100.000 femmine). Ma questa è più difficile da dire.
Sulla Repubblica, Daniele Raineri si occupa dell’uccisione di Daria Dugina, figlia di Aleksandr Dugin, ideologo e propagandista di stretta osservanza putiniana: «L’attentatrice sarebbe una donna ucraina di 43 anni, Natalia Pavlovna Vovk, che lavorerebbe per conto dei servizi segreti ucraini e che sarebbe entrata in Russia il 23 luglio assieme alla figlia di dodici anni, Sofia, e a un gatto alla guida di una Mini Cooper». Strano. Negli ultimi tempi ci pareva di vedere soprattutto cani al volante.
La Gazzetta dello Sport dedica la copertina all’avvio del campionato di calcio italiano, con un fotomontaggio di Osimhen, Di Maria, Leao, Lukaku e Dybala in spiaggia e il titolo «Un mare di gol». Però Leao regge una tavola da surf con i colori dell’Ungheria a bande verticali: rosso, bianco, verde. Invece il nostro tricolore è, partendo da sinistra, verde, bianco, rosso. Ma forse i calciatori stranieri non lo sanno.
Titolo dal sito della Repubblica: «Spari in strada a Sasso Pisano, ucciso un morto. Potrebbe trattarsi di un regolamento di conti». Sì, tra Ferruccio Ferrucci e Fabrizio Maramaldo.
Nel suo editoriale in prima pagina, Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, scrive per quattro volte perchè, con l’accento grave anziché acuto. Nel medesimo articolo, cita i politici Gianfranco Miccichè e Daniela Santanchè, però con l’accento acuto anziché grave sulla e dei rispettivi cognomi (l’esatta grafia compare nell’Enciclopedia Treccani). Ne deduciamo che per Travaglio ciò che è grave non è acuto e ciò che è acuto non è grave. Per fortuna non ha fatto il medico.
Rimanendo agli accenti sparsi a casaccio, François De Tonquédec sulla Verità ha l’abitudine di scrivere «cardinale Mambertì», con l’accento sulla lettera finale del cognome. In realtà, il porporato, prefetto del Supremo tribunale della Segnatura apostolica, si chiama Dominique Mamberti. Benché nato a Marrakech, in Marocco, proviene dal clero della diocesi di Ajaccio, ma questo non autorizza a trasformargli l’identità sulla base di un’improbabile pronuncia alla francese, tanto più se ti chiami De Tonquédec. Il quale come cronista di giudiziaria pare alquanto impreciso anche su altre e ben più rilevanti questioni. Secondo lui, il processo che in Vaticano vede fra gli imputati il cardinale Angelo Becciu «riprenderà nelle prossime settimane con oltre 2.000 testimoni». La cifra è gonfiata, all’incirca di un 1.000 per cento in più: sono 180, secondo quanto ebbe a dichiarare in aula Giuseppe Pignatone, presidente del tribunale dello Stato della Città del Vaticano.
Incipit dell’intervista che Carlo Calenda, leader di Azione, ha concesso a Paola Di Caro del Corriere della Sera: «In campo “non ci sono solo due poli, non si sta giocando una partita tra destra e sinistra. Ce ne sono quattro, guidati da Meloni, Letta, Conte ed io”». Su due monosillabi, uno è sbagliato: doveva dire «e me».
Conclusione di un servizio di Caterina Maniaci su Libero, in cui cita il romanzo thriller La stazione di Jacopo De Michelis: «Una discesa agli inferi che è diventato un best seller e una guida nella Milano che non ti aspetti. Una discesa agli inferi che è diventato un best seller e una guida nella Milano che non ti aspetti». Abbiamo capito.
Sul Corriere della Sera, in un’intervista con il professor Luigi Boitani, massimo studioso di lupi in Europa, Stefano Lorenzetto fa elencare allo studioso le località in cui sono stati avvistati. Fra queste si legge «Vejo». Benché il toponimo sia spesso citato con questa grafia, l’antica città etrusca a nord di Roma si chiama Veio.
Giorgio Dell’Arti riferisce sul Fatto Quotidiano che il padre di Piero Angela, Carlo, nella sua veste di direttore della Villa Turina Amione di San Maurizio Canavese (Torino) «salvò decine di ebrei ricoverandoli in clinica», facendoli «passare per matti». E aggiunge: «Israele lo ringraziò con il titolo di Giusto della nazione». In realtà i non ebrei come Carlo Angela che hanno corso grandi rischi per salvare vite umane durante l’Olocausto, e ora sono onorati nello Yad Vashem di Gerusalemme, si chiamano «Giusti tra le nazioni».
Titoli da un’unica edizione di Domani: «Così la sinistra e il Pd si sono illusi di poter attrarre il ceto medio». «Così Berlusconi ha rinunciato al ruolo di federatore di centro». «Così sta arrivando l’autunno più caldo». Un giornale un po’ così.
Titolo da Prima Comunicazione: «Design, viaggi e tanta cura arriva ‘L’inkiesta eccetera’». Ma la testata online, come peraltro precisato nel testo, si chiama Linkiesta, senza apostrofo. Per un mensile specializzato in notizie sui mass media, l’insufficienza è d’obbligo: 5.
E.F. sulla Stampa riferisce dell’«accoltellamento di un trentenne nigeriano da parte di un connazionale libico». Effetti della globalizzazione.
SL

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