“Ho temuto di non tornare mai più sul palco. Dalla e io, due clown senza circo”
RENATO ZERO – Il musicista a Roma è protagonista di 6 serate per festeggiare i suoi 70 (2 anni dopo)
L’attesa. “Prima di tutto c’è il recupero di una professione, c’è il recupero di un impatto con il pubblico, c’è il recupero del palcoscenico: ho perso completamente l’esercizio e ho paura, perché di stare tre anni fermo, senza un concerto, non mi era mai successo”.
Questa volta c’è Renato Fiacchini. Con le sue fragilità, i suoi timori, le sue certezze, la sua consapevolezza. Zero è sullo sfondo. “Ho 72 anni, anche se non li sento; sono un po’ come la novella di Fitzgerald, Il curioso caso di Benjamin Button: anche io sono nato vecchio, avevo circa 91 anni e un ago infilato nella vena per delle trasfusioni. Poi sono ringiovanito”.
È ringiovanito e pronto per le sei date romane (dal 23 settembre al 1° ottobre) al Ciurco Massimo, dove il sold out ha (piacevolmente) obbligato gli organizzatori ad ampliare i posti disponibili. Lui non vede l’ora. È come un bambino davanti a un’enorme coppa di panna.
Questi anni le sono pesati…
Non credevo così tanto, è stato un sacrificio imprevisto e difficile; (ci pensa) per fortuna ho occupato il tempo con Zerosettanta ,Atto di fede e Zero il folle; soprattutto Zero il folle mi ha graziato: ho chiuso il tour poco prima del Covid.
Però…
Se non avessi trovato la forza di scrivere Atto di fede forse avrei scoperto il lettino dell’analista.
Il “polso” con il suo pubblico.
In questi ultimi anni non ho mai rinunciato al supermercato, all’edicolante e ad altre consuetudini rassicuranti; il contatto con le persone mi permette di sentirmi ancora bello, desiderabile, ascoltato.
Negli ultimi tre anni ha sognato il palco?
Ho sognato che non ci arrivavo.
È un incubo.
Una specie, ma era inevitabile visto lo stato d’impotenza nel quale eravamo caduti; (pausa, sorride) per mantenermi in esercizio mi sono specializzato in una sorta di teatro gratuito.
Tradotto.
Magari in farmacia, in trattoria o dove capitava, specialmente nelle ore di punta, entravo in scena per il bisogno di confrontarmi con la moltitudine.
Era in ansia.
Non potevo perdere l’abitudine di termometrare la mia gente: a me basta uno sguardo per comprendere come sono quotate le mie azioni.
Cosa dice la “Borsa”?
Che sono in rialzo.
Da poco è tornato sul palco con Jovanotti e anni fa, al Fatto, ha dichiarato: “Non mi fido di chi non trema prima del sipario”.
Perché chi non trema non è uno sincero; la troppa determinazione, il calcolo, non rientrano nelle doti migliori di un artista.
Mentre un artista…
Deve possedere i requisiti di sincerità, debolezza e timore: l’artista è fragile, non va in palestra, perché non è quella muscolatura a dover sviluppare.
Quindi ha tremato prima di cantare con Jovanotti…
Sì ed è stato Lorenzo a non farmi desistere, a non farmi sentire inadeguato; (pausa) Lorenzo, in qualche cifra, è simile a me: potrebbe essere mio figlio.
Cioè?
Ha una follia terapeutica che diventa contagiosa e con alla base il desiderio di giocare con certi simboli, con l’abbigliamento; quella di cantare sulle spiagge è una follia totale, persino a me non sarebbe venuto in mente.
Le follie le conosce bene.
Con Zerolandia lottavo tutti i minuti con le Commissioni, venivano a misurare la qualunque.
La boicottavano.
Un po’ sì. Fino a chiuderci.
Insomma, quando ha iniziato a cantare con Jovanotti…
Mi sono accorto che pure Lorenzo era emozionato: allora mi ha abbracciato e mi ha trasfuso un paio de litri de sudore; oh, non sta fermo un secondo, io pensavo di essere un super sviluppatore di endorfine, poi ho visto lui; (pausa) anche Lucio (Dalla) era come noi, e aggiungo Gaber e Jannacci.
Ha mai provato il “bombone” terapeutico di Jannacci?
No, però amavo la sua amara ironia e il suo sarcasmo era una rivoluzione indolore ma efficace.
Chi l’ha più fatta ridere?
Da chi mi interessa e affascina non mi aspetto mai troppa ilarità; se rido in maniera eccessiva mi interrogo sulla qualità del rapporto. Ridere non deve essere la ragione primaria.
Allora chi l’ha fatta stare bene?
Sempre Lucio: mi ha rasserenato con la sua esistenza, grazie a lui non mi sono sentito solo; (pausa) almeno fino a quando è stato in vita.
Ha parlato di lei e Dalla come di due clown.
Sì, ma senza circo.
Ha mai pensato una tournée con lui?
Se abbiamo il pane buono ognuno lo deve portare nella sua zona, altrimenti è una perdita di tempo.
Nelle sue serate ci saranno ospiti?
Più che ospiti, amici che hanno con me dimestichezza.
Nomi?
(Ride) Non è necessario.
Almeno uno.
Noooooo! Posso dire che sono molto differenti l’uno dall’altro, quando ultimamente nella musica esiste il copia e incolla.
Quanti brani?
35, ma ogni sera cambio la scaletta.
Ansia al pensiero del 23….
Non è tanto quella; (ci pensa e cambia tono) ho fatto il chierichetto per mio zio, Don Pietro, e il momento della sacrestia era la parte migliore della celebrazione, molto più della Messa. Perché lì il prete è solo, è come se si preparasse al patibolo per salvare le anime, anche a costo della propria.
(Siamo a tavola. Arriva il cameriere e propone delle triglie: “A me, da sempre, la triglia strizza l’occhio in maniera strana, ma non abbocco”)
Nel mondo della musica è considerato tra i più simpatici.
Chi lo dice?
Tanti, ultimamente in un’intervista pure l’avvocato Giorgio Assumma.
È il mio padre mancato: se non avessi avuto il mio, mi sarebbe piaciuto averne uno come lui; persona straordinaria; una volta andiamo in Germania, dovevo firmare un contratto a Monaco. Arriviamo. Saliamo. Ma non c’erano ancora i dirigenti. Allora vado in bagno e lascio sul tavolo i miei occhiali a farfalla e tempestati da strass. Quando sono tornato ho trovato Giorgio che aveva iniziato la riunione e indossava proprio quegli occhiali.
E lei?
Quando l’ho visto sono stato costretto a chiudere la porta perché ridevo troppo.
Non è sempre andata così bene…
In fatto a complicità? (Sorride) No, negli anni precedenti era più semplice trovare persone che si vergognavano o preferivano spingere musicisti più semplici; (pausa) quasi tutti si sono pentiti di non aver avuto coraggio e fiducia in me: me se leggeva in faccia che non avrei mollato.
La musica è “leggera”?
Manco per il cazzo, di leggero c’è ben poco; (pausa) abbiamo opportunamente stabilito che nel repertorio di questo paese ci sono Il cielo in una stanza di Paoli, Era d’estate di Endrigo, Il nostro concerto di Bindi, Il Cielo di Zero. Questa è leggera? E poi la musica richiede delle prestazioni totalmente distanti dal pentagramma e un artista che si rispetti non può e non deve sottrarsi.
Non riguarda solo la musica…
No, ma il mondo dell’arte; Anna Magnani metteva di nascosto delle bustine piene di soldi nelle carrozzine dei bambini, figli di donne in difficoltà. Quando l’artista è grande si addormenta sereno e non esiste disco di platino a pareggiare certe emozioni.
Si spaventa mai quando i fan investono così tanto su di lei?
Per forza, perché uno è solo davanti a una moltitudine di persone che ha bisogno di te.
Dal palco guarda la platea?
Non me perdo nessuno.
Ora ci fa almeno il nome di un ospite per le serate romane…
Ancora! (Ride) Ho detto di no, non voglio rovinare la sorpresa.
Per il concerto dei suoi 60 anni ha invitato pure Rita Pavone e proprio lei racconta che le ha salvato la carriera.
Non è proprio così: voleva smettere di cantare, invece l’ho chiamata, le ho spiegato che faceva parte della mia vita; è venuta ed è stata una meraviglia.
Tra le nuove leve c’è Ultimo: è suo parente?
È figlio di una mia cara amica.
E non si è appoggiato a lei…
Per niente, eppure avrebbe potuto; tanti anni fa sento citofonare il campanello di casa, e allora mi camuffo, rispondo con una vocina stridula: “Chi è?”. E lei: “C’è Renato?”. “No, adesso no, vuol dire a me?”. E lei, sempre al citofono, mi racconta di suo fratello, che non stava bene, doveva affrontare un percorso complicato e voleva conoscermi. A quel punto la finzione è finita, gli ho aperto e siamo diventati amici; Nicolò (vero nome di Ultimo) ancora non era nato.
Ultimo, come nome, richiama Zero…
Forse sì; e davvero, non mi ha mai chiesto nulla; lui è bravo e ha una grande voglia di rivincita e quando si hanno quelle motivazioni, non ti ferma nessuno.
Questa estate, da casa sua all’Argentario, quante volte ha guardato le finestre della villa della Carrà?
Lì dentro ci sono stato cinque o sei volte; con Sergio (Japino) e Gianluca (Bulzoni, suo storico segretario) avevano deciso che quella casa andava vissuta dagli amici di Raffaella, e allora abbiamo organizzato delle serate. E mi ha fatto bene, avevo la sensazione che lei fosse insieme a noi; (pausa) dopo la sua morte mi affacciavo dalla mia finestra, guardavo verso di lei, e non sentire la sua risata è stata durissima.
(Arriva una coppa immensa di panna montata. “Renato, ci sono i concerti!”. “Sì, vabbè, ma senti che è!”. Poi si sporca un pochino, e la sua camicia variopinta acquista una striscia di bianco)
Ha mai messo un completo con la cravatta?
(Stupito) Io? Sì, al matrimonio di mia sorella Enza: quando mi hanno visto con addosso quel giallino color cacca di bimbo, mi hanno chiesto subito di cambiarmi.
Addirittura?
Ero più scandaloso con la cravatta che con le paillettes.
Cosa vota il 25?
Non entro nello specifico, ho una responsabilità; mi dispiace solo che la gente si documenta poco, non conoscono i loro salvatori o i loro detrattori. Ed è gravissimo.
Chiuderà sempre con Il cielo.
(Sorride) Secondo lei?; (pausa) di alcuni miei brani mi fa impressione di aver azzeccato il futuro, gli eventi. Nel 1983 ho inciso Contagio, ed era già il Covid.
E poi?
Spalle al muro l’ho portata a Sanremo quando avevo 50 anni, era un argomento che ancora non mi riguardava così da vicino; oggi ci sono dentro, quindo la sento diversamente e il brano diventa uno specchio.
Come lo vive questo “specchio”?
Se ti sei premunito prima e ti sei speso bene, il fatto di non saltare più la staccionata o di sentire un po’ di artrite non te ne frega più di tanto: io sono stato un ballerino e ho danzato prima del concerto di Jimi Hendrix a Roma, non posso lamentarmi.
Ma si sta allenando?
Al massimo salgo le scale dell’Auditorium (dove è alle prese con le prove dell’orchestra).
Gli orchestrali le danno del lei?
Qualcuno mi chiama maestro, io rispondo con lo sguardo in cagnesco.
Quanti cambi d’abito?
(Sbuffa, ma ride) Ma ha proprio rotto, non anticipo nulla.
Sta già pensando al post primo ottobre?
Mi piacerebbe una tournée semplice, con un pianoforte a coda lunga sul palco. E basta.
Tre anni fa ha dichiarato: “Ora do spazio a Zero e metto Renato da parte”. Questa volta?
Renato ha 72 anni.
E quindi?
Renato si riprende le chiavi di casa.
E Zero?
(Ride) S’attacca.