L’avvocato che due mesi fa sembrava uno sconfitto annunciato e ora provoca calche parte proprio da lì, da ciò che poteva essere e non è stato, dal fu campo largo: “Gli ex amici del Pd hanno letto un po’ troppo i giornali e hanno commesso enormi errori politici, pensavano che Luigi Di Maio fosse un astro nascente del M5S e che i 5Stelle fossero in caduta libera”. E invece no, sondaggi e umori dicono che il M5S non sembra per nulla finito, e che quella rottura a Conte potrebbe essere convenuta. Pare raccontarlo anche la piccola folla che lo aspetta alla festa del Fatto, con applausi e urla di sostegno. Lui, l’avvocato, è in camicia bianca e pantaloni blu. Lo segue la capolista Chiara Appendino, su cui punta per recuperare al Nord.
Sul palco rispondono alle domande di Peter Gomez e Antonio Padellaro. E l’avvocato inizia proprio dall’addio al Pd, o almeno a quello di Enrico Letta: “Non ho mai parlato di alleanza organica con i dem, ma eravamo disposti a ragionare su un programma congiunto. Il Pd però ritiene di avere l’esclusiva sulla proposta progressista, ma il M5S ha una forte identità e non può accettare una logica ancillare”. Così ognuno per la sua strada. “Il Pd dice: ‘Votateci perché siamo la sinistra’. Ma io non ho fatto il jobs act e la legge Fornero. Quando chiedevo determinate cose a Draghi, prendendomi insulti, dov’erano i dem?”.
Ormai Letta è solo un avversario. Per il podio però, perché la grande favorita è Giorgia Meloni, a cui Conte non contesta la fiamma nel simbolo o Mussolini: “Non ne faccio una questione di neo-fascismo, la legittimazione democratica te la danno i voti dei cittadini”. Ed è un altro modo per marcare la differenza con Letta. Piuttosto, “temo l’inadeguatezza di Meloni, la sua incapacità di governare nella complessità. L’ho visto quando era all’opposizione, dove diceva tutto e il contrario di tutto. E poi ha detto no cinque volte al Pnrr”. Appendino va nel dettaglio: “Su Chi Meloni ha assicurato: ‘Se sarò premier non rinuncerò a nulla di mia figlia’. Ma quale donna in questo Paese non rinuncia a qualcosa dei suoi figli? Non è il messaggio giusto”. Però il vero mantra di Conte è il no al riarmo. Gomez gli chiede se il M5S voterà il decreto per un nuovo invio di armi all’Ucraina. E l’ex premier lascia che sia la gente a urlare “no”. Dopodiché sostiene: “Siamo contro, l’Italia non può sopportare un nuovo sforzo bellico, siamo in recessione”. Serve altro, teorizza: “La furia bellicista non funziona, si punti sulla capacità di dialogo dell’Italia per un negoziato”.
Poi Padellaro cita l’elenco di presuntissimi filo-putiniani pubblicato dal Corsera. E Conte lo ammette: “Da premier ho parlato a lungo con Putin delle violazioni che Ucraina e Russia si rinfacciavano. Ma non scendo nel dettaglio perché mi sono beccato del filo-putiniano o del filo-trumpiano per molto meno. Se in campagna elettorale provassi a fare una ricostruzione storica sarebbe molto insidioso”. Però poi gli chiedono se la guerra non finisca anche per il peso degli interessi, e allora si espone: “In questi casi tutti gli apparati industriali del settore della Difesa intravedono la prospettiva di crescere, sono lobby nelle strutture dello Stato”. E quel messaggio di sostegno da Trump di cui ha raccontato Repubblica? “Ha detto che sono una brava persona, non mi posso offendere”.
E Draghi? Un nemico, ovvio: “Abbiamo il migliore dei migliori ma in Europa non abbiamo ottenuto nulla sul gas. E l’obbligo vaccinale per gli over 50 è stato un errore”.
Però Grillo e il premier hanno sempre avuto un buon rapporto, gli ricordano. La gente ride, Conte anche, poi si finge conciliante: “Il sì a governo Draghi era condizionato e il M5S aveva come reggente Crimi”. Lui sì a Draghi non l’avrebbe detto, forse. Di sicuro c’è Appendino che definisce la scissione di Di Maio come “un momento di salvezza e chiarezza politica”. Ora c’è Conte, che non si sente in caduta libera.