“La legge Cartabia, quella che manda in fumo il 50% dei processi, è passata col silenzio-assenso dei giornali”. È durissimo il giudizio di Nicola Gratteri nei confronti della stampa italiana e del ruolo avuto nell’accettare le nuove disposizioni in materia di “presunzione d’innocenza” e di rapporti tra la magistratura e i giornalisti, volute dalla ministra della Giustizia uscente, Marta Cartabia. Oltre alle riforme sull’improcedibilità che affossa i procedimenti penali. Il procuratore di Catanzaro, intervenuto alla festa del Fatto Quotidiano, ospite del dibattito “A che punto è la giustizia?”, moderato da Andrea Scanzi e Valeria Pacelli, ieri è tornato sulla conferenza stampa tenuta a margine della maxi-operazione della scorsa settimana di contrasto alla ’ndrangheta, durante la quale ha parlato di “202 presunti innocenti”, senza dare ulteriori dettagli. “Quando veniva fatta la legge che impediva ai magistrati di spiegare al territorio determinate operazioni – ha detto Gratteri – i sindacati dei giornalisti non si sono impegnati minimamente per protestare. E allora ho detto ai cronisti calabresi, indispettiti, di non prendersela con me e di andare dai loro editore affinché parlassero con la politica”.
Il giudizio di Gratteri nei confronti della gestione Cartabia è tutt’altro che positivo. “Le riforme di quest’ultimo anno non le avrei mai immaginate possibili – afferma il magistrato – a cominciare dall’improcedibilità. Con queste leggi, il 50% dei processi non arriveranno alla conclusione, non si celebreranno. Come se nulla fosse avvenuto. Questa la grande riforma che ha chiesto l’Europa? No. L’Europa ci ha chiesto di velocizzare i processi, non di non celebrarli”. Secondo Gratteri, queste riforme non hanno nulla a che vedere con il funzionamento della macchina giudiziaria. “A 30 anni da mani pulite è arrivato il momento della resa dei conti della politica – avverte – Quale momento migliore ora che la credibilità è ai minimi termini?”.
La politica e il contrasto alle mafie è un altro cavallo di battaglia di Gratteri. E anche su questo punto non va per il sottile. “Dal giorno in cui si è insediato e finché io non sono andato in tv a criticarlo, Mario Draghi non aveva mai parlato di mafia. Poi ha fatto un punto della situazione per i 30 anni della Dia. Ma noi lo stato dell’arte lo conosciamo. Noi invece avremmo voluto sentire dal presidente del Consiglio cosa voleva fare sul piano normativo per contrastare le mafie”. Poi attacca: “In realtà è da un po’ di governi che non si parla di contrasto alle mafie, governi sia di centrodestra, sia di centrosinistra”. Un silenzio che risulta assordante anche in campagna elettorale. “Chi ha parlato di mafie? – chiede – Nessuno, finora. Io ho bisogno che i politici mi dicano cosa faranno sul piano normativo”.
Si parla di politica e la domanda è quasi d’obbligo: Gratteri pensa di candidarsi in futuro? Il procuratore prima sembra possibilista: “Mai dire mai”, poi chiude: “La politica non è cosa mia”. Ma non risparmia anche un rimprovero al M5s: “Bonafede (Alfonso, ex ministro della giustizia, ndr) è stato una persona perbene. Detto questo, non si può dire che i 5 stelle siano senza peccato. Ad esempio, avrebbero staccare la spina al governo Draghi quando fu approvata la riforma per l’improcedibilità dei processi”.
Ma per chi vota la mafia? “Le mafie sono sì una minoranza, ma sono una minoranza organizzata – dice Gratteri – Le mafie tendono a non stare mai all’opposizione, puntano sul cavallo vincente, per capitalizzare i voti. E se sbagliano il cavallo durante il percorso si riposizionano. Cercano sempre di intercettare i voti”. Il motivo è anche pratico, ma apre a una riflessione: “Un capomafia sta sul territorio tutti i giorni, il politico sta sul territorio 4 mesi prima delle elezioni e dal giorno dopo non vuole essere disturbato. Le mafie danno risposte drogate, come il lavoro in nero, ma danno risposte. Durante il Covid, mentre i politici si sono trasformati in virologi, i capimafia facevano arrivare i borsoni della spesa. Quando sarà ora di votare, in quelle famiglia si ricorderanno di chi ha portato la borsa della spesa. Mentre noi facciamo le ideologie perché abbiamo la pancia piena”.