*La lezione di Eduardo* di Vincenzo D’Anna*

*La lezione di Eduardo* di Vincenzo D’Anna*

L’attuale condizione in cui versa la politica italiana (e coloro che ne sono i principali attori), ben si presta ai più svariati paradigmi. Molti tra questi ultimi sarebbero certamente poco lusinghieri se, per comporli, si attingesse alla vasta letteratura sia classica che moderna. Per intenderci: il quadro della situazione attuale, la scarsa attitudine alla vera e propria “cultura” da parte dei protagonisti ed i repentini cambi di opinione, rispetto al recente passato, dei medesimi, con il conseguente stato caotico che ne è derivato, richiederebbe la comparsa di un deus ex macchina, presente nelle tragedie greche allorquando occorreva un colpo di teatro finale per porre fine alla rappresentazione. Tuttavia il paragone tra lo spettacolo odierno offerto dalla politica italiana, paragonato alle grandi opere dei commediografi greci, risulterebbe offensivo per questi ultimi. Quelle antiche rappresentazioni, per quanto ingarbugliate fossero le trame, contenevano infatti un messaggio di fondo che si stenta a cogliere alla vigilia di questa tornata elettorale. Converrà dunque costruire il paradigma richiamando opere contemporanee che sappiano contenere sia il lato comico che quello tragico. Chi, allora, meglio del grande Eduardo De Filippo e delle sue commedie come punto di riferimento paradigmatico? E quale migliore commedia di “Napoli Milionaria” può descrivere lo stato delle cose alle quali si è assuefatta la società nostrana e, di converso, il ceto politico che uscirà dal suffragio popolare del 25 settembre? Proprio come in quella commedia si registra, oggi, un diffuso stato di precarietà e di cinismo sociale che, innanzi al bisogno, vero o presunto che sia, si traduce nel lassismo civico e morale. Nella rappresentazione teatrale c’è un popolo che si arrangia con il contrabbando sbarcando il lunario con mille espedienti tra i quali anche il furto e soprattutto con lo stratagemma. Un’intera famiglia vive nel relativismo morale e nell’illegalità avendo come alibi lo stato di necessità che tutto copre e giustifica. Bisogna sopravvivere e non esiste tradizione o costume comportamentale, sia pur fatto di sani ed antichi principii, che fossa fungere da freno ai traffici ed all’arte di approfittare del prossimo. Scomparsi i vincoli morali e quelli della solidarietà umana i personaggi di De Filippo si avvitano intorno al loro egoismo ed alle necessità, cattivi e rapaci, disincantati e maldicenti, irrispettosi ed irriguardosi verso ogni autorità. Uno spaccato del genere lo leggiamo tutti i giorni sui social network, lo strumento che ha concede a chiunque di ergersi a giudice e di mostrarsi quel che non si è nella realtà della vita. L’opinione pubblica si adegua e segue, si nutre di rancore sociale e di anarchica maldicenza. La politica di converso non vola più alto della massa né si mette a declinare principii etici. Non difende le istituzioni democratiche, non rivendica la verità neanche innanzi alle calunnie ed al mendacio, creando le condizione di una subalternità morale. Il rimedio escogitato da coloro che chiedono voti è l’elargizione delle più disparate prebende, delle agevolazioni che in precedenza, al governo, non avevano concesso. L’idea, insomma, che in appresso tutti potranno godere di diffusi vantaggi. Il tutto indipendentemente da ogni valutazione sullo stato delle disastrate finanze statali e dell’enorme ammontare del debito pubblico. Se quattro milioni di italiani ricevono un reddito di cittadinanza indipendentemente da ogni disponibilità ad esercitare un qualsiasi tipo di lavoro, le elezioni saranno condizionate da questo immane scambio elettorale. La prima voce di spesa è quella delle pensioni, la seconda quella del pubblico impiego: circa dieci milioni di italiani godono di una pensione retributiva, che ammonta al doppio di quella calcolata sui contributi versati. Oltre quattordici milioni di italiani evadono le tasse per cento miliardi ed altrettanto di contributi: quale principio di etica pubblica potrà mai essere coltivato dalla politica? Oltre un quarto del prodotto interno lordo è frutto, infatti, del lavoro nero quindi senza introiti per l’orario statale, che sopperisce con alta tassazione ed accise sui generi di largo consumo. Le imprese statali monopoliste in ambito energetico lucrano sugli aumenti dei prezzi nel mentre il ceto politico con Salvini bussa a denari per un nuovo Recovery Found della UE invece di detrarre i guadagni dalle bollette. Enrico Letta, imperterrito, predica una maxi assunzione di migliaia di giovani nei gangli della burocrazia parassitaria. La sinistra di Fratoianni, dal canto suo, invoca un’altra tassazione sulla ricchezza prodotta da chi lavora, facendo guerra alla ricchezza e non alla povertà. Come nella “Napoli Milionaria” ciascuno si arrangia con la demagogia e lo sperpero dei soldi dei contribuenti. Insomma è la filosofia di fondo di eletti ed elettori nel “tirare a campare”, condensata nel famoso epitaffio finale: adda passà ‘a nuttata…

*già parlamentare

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