Lo SCO nel dissenso asiatico (di Stelio W. Venceslai)

Lo SCO nel dissenso asiatico

(di Stelio W. Venceslai)

L’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, SCO (Shanghai Cooperation Organization) è un organismo intergovernativo nato il 14 giugno 2001, che riunisce sei Paesi asiatici: Cina, Russia, Kazakistan, Kirghistan, Tagikistan e Uzbekistan, che, ad eccezione dell’ultimo, facevano già parte del cosiddetto Gruppo di Shangai (gli Shangai Five).

Oltre ai sei Paesi membri originari, hanno successivamente aderito a pieno titolo allo SCO altri Paesi, Pakistan, India e Iran, che sono diventati membri effettivi, mentre Afghanistan, Bielorussia e Mongolia sono solo membri osservatori. Sri Lanka e Turchia sono “partner di dialogo”.

Sono tutti Paesi che, in un modo o in un altro, sono uniti dall’avversione nei confronti del prepotere occidentale. La richiesta nel 2006 degli Stati Uniti di essere ammessi come “osservatori”, infatti, è stata respinta nel 2006, adducendo come pretesto la mancanza di una frontiera comune.

Nato come meccanismo per favorire la risoluzione di dispute territoriali tra i Paesi membri, lo SCO si è progressivamente istituzionalizzato, intensificando la cooperazione tra i suoi membri su molteplici questioni, a partire dalla sicurezza.

Il piano militare e di sicurezza, infatti, è quello più rilevante, all’insegna della comune volontà di contrastare i tre fenomeni identificati come le principali minacce alla sicurezza regionale: il terrorismo, l’estremismo e il separatismo, cercando di conservare lo status quo territoriale in una regione dove non mancano irredentismi, contrasti etnici, spinte secessioniste e ingerenze esterne.

Inizialmente concepito come una struttura regionale per l’anti-terrorismo (RATS, Regional Anti-Terrorism Structure), lo SCO ha progressivamente esteso la collaborazione fra i Paesi membri per contrastare i crimini relativi alla produzione e al commercio di droga e allo sviluppo della cooperazione economica con l’obiettivo, proposto dalla Cina, di costituire nel tempo un’area per il libero commercio per migliorare e facilitare lo scambio delle merci nella regione, dando la priorità a progetti comuni per lo sviluppo energetico (gas e petrolio), l’esplorazione di nuove riserve di idrocarburi e lo sfruttamento congiunto delle riserve idriche.

Non si è prestata molta attenzione al meeting dello SCO che si è svolto a Samarcanda   il 15 settembre scorso, dove Putin e Xi Ping hanno riunito i rappresentanti dei Paesi loro amici od alleati o, comunque simpatizzanti, un incontro segnato, tra l’altro, dalla presenza dell’Egitto e della Turchia e molti altri osservatori.

A Samarcanda sono emerse parecchie questioni rilevanti anche per il futuro del mondo.

La prima è che lo SCO sta diventando un esperimento importante per la stabilizzazione dei confini interasiatici, peraltro ancora molto fluidi. Se i contrasti politici interni si attenueranno, ne verrà fuori un’importante zona di libero scambio con un mercato gigantesco per la Russia e Cina, con la sua Via della Seta. Non sarà né facile né immediato, ma le prospettive sono molto interessanti, anche perché rubli e yuan sono già largamente impiegati al posto del dollaro.

La seconda questione emersa è che la guerra in Ucraina disturba un po’ tutti, crea problemi alimentari ed energetici quasi insolubili e, soprattutto, minaccia di estendersi. Il messaggio a Putin, al momento in gravi difficoltà militari e sul piano interno è: sbrigati o ti molliamo. La stessa Cina, all’assemblea delle Nazioni Unite, ha invocato il cessate il fuoco.

Di qui l’annuncio della mobilitazione parziale russa e le conseguenti proteste nelle città russe. Putin ha fretta di concludere, accelerando i referendum per impadronirsi dei territori ucraini facendoli passare per russi e aumentando la pressione militare sul terreno. Un gioco pericoloso per un aggressore che sostiene di doversi difendere dal nazismo ucraino anche con le armi nucleari.

La terza questione è che l’iniziale interesse di alcuni Paesi, come l’Egitto e la Turchia, si sta raffreddando, se Putin non riesce a sbrogliare rapidamente la situazione ucraina in cui si è cacciato. L’avventura di Putin preoccupa un po’ tutti perché un’escalation nucleare fa paura. Non è certo lo SCO che può portare un contributo alla pace, viste le tensioni politiche interne da cui, in parte, è paralizzato.

Il latente contrasto russo-cinese, a parte i convenevoli d’uso, non è il solo. Ad esempio, che India e Pakistan (alleato degli Usa), in perenne conflitto, siedano allo stesso tavolo e che l’India, alleata di Mosca, sia reduce da tre guerre con la Cina, non aiutano molto. La presenza fluttuante della Turchia è un altro elemento d’incertezza politica.  Membro della NATO, alleata per certi versi in Siria con la Russia ma in contrasto con la stessa in Libia, motivano l’atteggiamento ondivago di Erdogan, alla ricerca di una stabilità politica messa in forse dalla crisi economica esistente in Turchia.

A ciò sono da aggiungere i fermenti autonomistici da parte di alcuni Paesi centro-asiatici dell’ex Unione Sovietica, come il Kazakistan.

Un conflitto mondiale coinvolgerebbe tutti questi Paesi che, al momento, risentono degli effetti negativi sui mercati che per loro sono essenziali (Cina compresa). Da Samarcanda, in pratica, è uscito un avvertimento in favore della pace.

 

 

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