1956, in Casal di Principe Vincenzo Caterino, esplodeva 5 colpi di pistola, con l’intento di ucciderlo, contro il cugino Angelo Caterino, ferendo per “aberratio ictus” uno zio Raffaele Idraco di Ferdinando Terlizzi
Verso le ore 19:00 del 25 ottobre del 1956, Maddalena Caterino denunciava i carabinieri di Casal di Principe che pochi minuti prima il fratello Vincenzo aveva esploso più colpi di pistola automatica contro il cugino Angelo Caterino ferendo invece per “abberratio ictus” lo zio Raffaele Idraco che aveva tentato di fare da paciere. Michele Caterino, che aveva seguito in caserma la Maddalena Caterino confermava la denuncia. Dalle indagini esperite dai carabinieri risultò che verso le ore 22:00 del 24 settembre, il Vincenzo Caterino si presentò davanti alla porta di casa del cugino Angelo, minacciandolo di schiaffeggiare la moglie di quest’ultima, se non smettesse di dire che essa ed il marito provvedevano ai bisogni di Michele Caterino, padre di Caterino Angelo. Quest’ultimo, reagì e, dopo una vivace scambio di parole ingiuriose, si armò di fucile e minacciò il cugino Vincenzo, -che si dette alla fuga – pronunciando le parole: “adesso ci dobbiamo uccidere! Aspettami…“ Alfonso Caterino, padre del Vincenzo, venuto a conoscenza del fatto, si recò in casa del nipote Angelo, per una riconciliazione tra i coniugi nel pomeriggio del giorno successivo e fece accompagnare Francesco Cirillo l’Angelo Caterino nella casa di Maddalena Caterino ove già si trovavano Vincenzo Caterino ed uno zio a nome Raffaele Idraco. Il Cirillo, dopo che i predetti si erano seduti intorno ad un tavolo, fece allontanare Maddalena Caterino ( è un costume locale, almeno all’epoca, la donna non poteva assistere a certi discorsi e doveva essere tenuta all’oscure dai fatti che riguardavano uomini) ed invitò i cugini Caterino ad una riconciliazione. L’Angelo giurò di non nutrire odio o rancore e di desiderare di essere lasciato in pace tra lui e il padre. Vincenzo il cugino, insorse, replicando che era libero di fare quello che voleva nei confronti di Lucia e che nessuno lo avrebbe fatto retrocedere dalle sue intenzioni, mentre l’altro esclamava: “ma allora questo non è una pace che mi volete far fare“ estrasse fulmineamente dalla tasca dei pantaloni una pistola automatica dicendo: “allora ti debbo uccidere e non muovetevi” spianò l’arma contro l’avversario. Ne fece partire un primo colpo che sfiorò l’Angelo senza colpirlo, poi un secondo colpo che ferì al fianco Raffaele Idraco, slanciato per trattenere il Vincenzo e di altri tre colpi contro il cugino Angelo che si allontanò di corsa per non essere ucciso. Gli ultimi tre corpi furono esplosi nella strada a breve distanza. Con rapporto del 12 ottobre del 1956 i carabinieri denunciarono Vincenzo Caterino per i reati di tentato omicidio e porto abusivo di pistola e Angelo Caterino per quelli di minaccia a mano armata e omessa denuncia di arma. Contro i predetti venne iniziata l’azione penale nel corso della formale istruzione e Vincenzo Caterino fu restato a Napoli il 22 marzo del 57, il quale interrogato assumeva che “mentre discuteva con il cugino ad un tratto, nell’alzarsi si accorse che la pistola stava per cadere dalla cintura dei pantaloni e che dovete fare un brusco movimento per fermarla. Lo Idraco, interpretando ciò per un gesto di minaccia si scagliò addosso per trattenerlo, ma fu raggiunto da un colpo di pistola partito accidentalmente dall’arma. Negava che dalla pistola fossero partiti altri colpi. Angelo Caterino a sua volta precisava che la sera del 24 settembre aveva minacciato il cugino con il manico di una mazza. Raffaele Idraco confermando quanto aveva deposto al pretore di Aversa il 26 settembre 56 nell’ospedale di detta città, affermava che nel mattino del 25 di ritorno dal lavoro, aveva appreso dalla moglie e dai vicini di casa che Angelo Caterino e Vincenzo avevano litigato, perché la moglie del primo si era rifiutata di lavare la biancheria del suocero e questi l’avevo portata a Vincenzo, malgrado l’opposizione di Angelo. Nella sera del 25 egli si era portato in casa di Maddalena Caterino per tentare di comporre la lite sulla speranza che in ciò potesse influire la sua anzianità. I due ripresero litigare a nulla valendo il suo intervento e ad un tratto il Vincenzo estrasse la pistola. Egli si lanciò contro quest’ultimo per bloccarlo, sicuro di riuscire nell’intento, ma dall’altra parte è un colpo che lo ferì. Precisava di non avere sentito altri colpi di pistola anche perché per le sue condizioni non badò a quello che succedeva intorno a lui.
Il “vegliardo” voleva passare a nuove nozze ma i figli non erano d’accordo
La perizia medica accertava che lo Idrico era guarito in giorni 40 dalle lesioni riportate. Con sentenza del 13 luglio del 57 il giudice istruttore chiusa la normale istruzione, ordinava il rinvio a giudizio innanzi la Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere di Vincenzo Caterino e di Angelo per rispondere il primo “per avere detenuto e non denunciato una pistola” e per aver “compiuto atti idonei diretti a cagionare la morte di Angelo Caterino contro il quale esplodeva cinque colpi di pistola”, cagionando per errore (aberratio ictus) nell’uso dei mezzi di esecuzione lesioni guarite in 40 giorni a Raffaele Idrico che veniva raggiunto da un colpo. Ed inoltre per avere con un fucile minacciato di morte Vincenzo Caterino. In dibattimento Angelo Caterino come imputato si processato innocente riportandosi ai precedenti interrogatori. Egli ha precisato che dopo la morte della madre il padre manifestò l’intenzione di passare a nuove nozze provocando risentimento in famiglia e litigi continui. Il 24 settembre si verificò un altro incidente tra lui e il padre e di ciò venne a conoscenza che il cugino Vincenzo. Costui verso le 24 si portò a casa di esso Angelo rimproverandolo di aver questionato con il padre siccome egli sospettava che il cugino caldeggiava il matrimonio del padre, prese una ramazza e con la stessa lo costrinse a scappare. Angelo Caterino, esaminato come persone offesa , ha assunto che il cugino gli esplose contro un solo colpo di pistola. In un secondo momento, decise di dire il vero e dichiarò che il cugino, nel corso della discussione in casa della sorella Maddalena, manifestò il deciso proposito di continuare ad interessarsi dello zio. In udienza il pubblico ministero contestò l‘aggravante della recidiva reiterata generica infraquinquennale ad Angelo Cirillo. Terminato l’esecuzione delle prove il pubblico ministero concluse chiedendo l’affermazione della responsabilità penale degli imputati in ordine ai reati contestati con la concessione a Vincenzo Caterino delle circostanze attenuanti generiche e di quelle del risarcimento del danno per il tentato omicidio e con la gravante della recidiva per Angelo Caterino.I difensori di Vincenzo Caterino chiesero la degradazione di rubrica da tentato omicidio a lesioni aggravate e la concessione delle attenuanti generiche e del risarcimento del danno con la condanna al minimo della pena. Il difensore di Angelo Caterino concluse in linea principale per l’assoluzione per insufficienza di prove ed in linea subordinata per la concessione delle attenuanti generiche con la condanna al minimo della pena. Dal canto suo la Corte andando nel merito “rileva per quanto concerne l’imputazione di minaccia con arma ascritta ad Angelo Caterino avente ad obiettivo un fatto che cronologicamente precede quelli attribuiti a Vincenzo Caterino, che le risultanze processuali forniscono la prova piena della responsabilità dell’imputato. E’ certo che, nella sera del 24 settembre del 1956 sorse un diverbio tra i cugini Angelo Caterino e Vincenzo. Quest’ultimo individuo prepotente e violento pretendeva di interferire nei rapporti intercorrenti tra il cugino ed il padre, rapporti che erano alquanto tesi perché Angelo ma vedeva che il genitore passasse a nuove nozze. Il Vincenzo e la moglie, nonostante l’opposizione di Angelo Caterino, presero l’iniziativa di provvedere ai bisogni del padre di quest’ultimo. La cosa non persuase specialmente la moglie dell’Angelo, la quale espresse il suo risentimento con persone le quali ne informarono il Vincenzo. Costui si recò dal cugino minacciandolo di percuotere la moglie dello stesso, se non avesse omesso di lamentarsi in pubblico. L’Angelo si adirò per tal fatto e reagì minacciando il cugino e costringendolo alla fuga. Non può prestarsi fede – aggiunse ancora la Corte – all’assunto secondo il quale egli avrebbe fatto uso di una mazza per intimidire il Vincenzo. Non è possibile credere che in un paese quale Casal di Principe un uomo dal temperamento di Vincenzo Caterino si lasci impressionare da una semplice mazza, al punto di darsi alla fuga e di annunziare all’avversario che la questione sarebbe definita con le armi. Un episodio di modeste proporzioni inoltre, non avrebbe allarmato il padre di Vincenzo Caterino ed indotto lo stesso a recarsi immediatamente dal nipote per una riconciliazione ed a sollecitare l’intervento di altre persone per conseguire un tal fine. Alle considerazioni fatti va aggiunto il rilievo che Francesco Cirillo e Michele Caterino dichiararono ai carabinieri che Angelo aveva minacciato il cugino con un fucile.
L’avvocato Pompeo Rendina all’epoca era sindaco di Capua
Il processo, la condanna a 5 anni e una versione di comodo che non fu creduta dagli inquirenti
Vincenzo Caterino, di anni di anni 27, da Casal di Principe, il 25 settembre del 1956, fu accusato di tentato omicidio perché esplodeva 5 colpi di pistola, con l’intento di ucciderlo, contro Angelo Caterino, da Casal di Principe di anni 32. Tratto al giudizio della Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere (Presidente, Eduardo Cilento; giudice a latere, consigliere Guido Tavassi; giudici popolari: Antonio Bologna, Ferdinando Benefico, Salbino Arturo Pozzi, Oreste Malasomma, Nicola Canzano e Antonio La Milza; pubblico ministero, Nicola Damiani) i giudici ritennero che… “Le genuine, spontanee ed immediate deposizioni ai carabinieri consentono di ritenere provato che, allo scopo di addivenire ad una riconciliazione, a seguito di quanto era accaduto nella sera del 24 settembre, si fa una riunione in casa di Maddalena Caterino alla quale parteciparono i due cugini, Raffaele Idrico e Francesco Cirillo. Nel corso dell’incontro l’Angelo si dichiarò disposto alla pace, a condizione che il cugino non si fosse più interessante sui rapporti familiari. Vincenzo risposi che egli era padrone di fare quello che voleva, e dalla obiezioni del cugino che in tal modo non ci potevo parlare di pace, improvvisamente estrasse una pistola automatica, gridando ai presenti: “non vi muovete” ed esplose un primo colpo di pistola andato a vuoto contro Angelo, un secondo colpo che attinse Raffaele Idraco al fianco sinistro inseguì poi il cugino che si dette alla fuga e gli esplose contro altri 3 colpi di pistola alla distanza di 10 mesi. Prima di far partire i colpi e gli disse all’Angelo: “allora ti debbo uccidere” . Tale frase, la ripetizione dei colpa a breve distanza, la loro direzione il persistere nell’azione anche dopo il ferimento dell’Idraco l’inseguimento dell’aggredito datosi alla fuga, il rancore esistente per il litigio e la minaccia verificatosi nella sera precedente; la reazione sproporzionale ad un’opposizione verbale, ma corrispondente alla mentalità criminale degli individui prepotenti di Casal di principe, per i quali il contrastare la volontà che essi pretendono imporre costituisce un così grave attentato al loro prestigio da richiedere come punizione adeguata e la uccisione di chi osa opporsi, sono elementi che provano in maniera certa che l’imputato agì con l’animus necandi. Gli atti compiuti ed il mezzo usato sono indubbiamente idonei a provocare la morte e l’evento non si verificò per cause indipendenti dalla volontà del colpevole (intervento dell’Idrico prima, fuga di Angelo Caterino l’angelo poi). Ne consegue che, concorrendo gli elementi costitutivi del delitto di tentato omicidio ed essendo stato ferito Raffaele Idraco, persona diversa a cui l’offesa era diretta, va mantenuta ferma l’imputazione ascritta di tentato omicidio. Non ricorre l’attenuante della provocazione in quanto l’azione del Caterino che determinò la reazione del cugino, non può ritenersi un fatto ingiusto, essendo convenuto nel manifestare il desiderio di far pace a condizione che l’altro si astenesse dall’ingerenza dei rapporti col padre. Non vi è alcun causale tra l’episodio della sera del 24 settembre e quello del giorno successivo. Non vanno concesse, inoltre, la circostanza attenuante generiche in quanto i buoni precedenti penali dell’imputato non valgono ad alterare la gravità del fatto che costituisce un episodio di violenza e di sopraffazione tipico della zona di Casal di Principe. E’ applicabile invece l’attenuante poiché il reo ha, prima del giudizio, risarcito il danno cagionato alla persona offesa. Le circostanze attenuanti generiche non vanno concesse neanche ad Angelo Caterino, sia per i suoi non buoni precedenti penali, sia perché non è emerso alcun elemento che alterni l’entità del reato da lui commesso. Nessun dubbio può sussistere sulla colpevolezza di Vincenzo Caterino il quale va condannato a 5 anni di reclusione. La sentenza fu appellata sia dai difensori che dal Procuratore Generale della Corte di Appello (che però successivamente rinunciò ai motivi). Il difensore chiese “ la esclusione della volontà omicida perché è risultato pacifico che l’imputato era seduto attorno ad un tavolo con altre persone, avendo di fronte il Caterino Angelo. Allorché questi si alzò per andarsene, facendo così fallire le trattative di pace partì un colpo di pistola. Va concesso il beneficio della provocazione; le modalità del fatto i motivi che lo hanno determinato e che sono del tutto altruistici e di solidarietà umana, la personalità del prevenuto, rendono questi meritevoli delle attenuanti generiche con riduzione della pena al minimo. Gli avvocati impegnati nei processi furono: Antonio Simoncelli, Giuseppe Garofalo, Pompeo Rendina e Giuseppe Irace.